Brilla l’acciaio degli Amenduni.
Nell’anno della pandemia, il gruppo Acciaierie Valbruna della famiglia Amenduni ha mostrato buona salute anche grazie a una consistente rivalutazione di attivi. Qualche giorno fa, infatti, l’assemblea degli azionisti presieduta dall’ultracentenario Nicola Amenduni ha deciso di mandare tutto a riserva l’utile ordinario 2020 di 29,7 milioni di euro, migliore dei 17 milioni di profitto dell’anno prima. Il patrimonio netto anno su anno è balzato da 433,2 milioni a 726,5 milioni perché oltre ad aver beneficiato della mancata distribuzione di cedole è stato spinto dalla rivalutazione di 271 milioni di impianti e fabbricati (operazione consentita dalla legge 126 del 13 ottobre scorso) che è stata poi apposta in bilancio come riserva per 263,5 milioni. Per avere le reali dimensioni del gruppo che occupa oltre 2mila 690 addetti bisogna guardare il bilancio consolidato che anche in tal caso vede l’utile migliorato a 47,7 milioni dai 33 milioni del 2019 con un ebitda tuttavia in calo da 103 a 88,1 milioni. Anche il fatturato di gruppo è diminuito rispetto all’esercizio precedente da 924 milioni a 852,5 milioni, ma il primo quadrimestre dell’anno in corso ha registrato ricavi in aumento del 23,5% sullo stesso periodo del 2020. Con un patrimonio netto consolidato di oltre 1,1 miliardi, il gruppo degli Amenduni ha visto la posizione finanziaria netta a debito migliorare anno su anno da 342,5 a 292,2 milioni sia pur dopo investimenti per 32,2 milioni. Tra gli asset finanziari di Acciaierie Valbruna figurano, poi, la Vi-Ba azionista al 10,5% della quotata Aedes Siiq e il 69% di Ferak, azionista all’1,4% di Assicurazioni Generali, segnata da un contenzioso con i soci di minoranza (Finint, Gianfranco Zoppas e Veneto Banca).