Scaroni smemorato.

“Un passo fondamentale per la sicurezza dell’approvvigionamento energetico del nostro Paese”. Le parole sono di Paolo Scaroni, il manager che oggi esprime in ripetute interviste perplessità sulle sanzioni alla Russia di Vladimir Putin e definisce “irrealizzabile” il tetto al prezzo del gas. Quelle parole sono datate 15 novembre del 2006 quando lo stesso Scaroni nella sua qualità di amministratore delegato dell’Eni firmò a Mosca un accordo con il gigante energetico russo Gazprom che di fatto consegnò mani e piedi l’Italia al gigante sovietico del gas. La firma fu preceduta a giugno di quell’anno da un doppio incontro tra l’allora presidente del consiglio Romano Prodi e il premier russo Putin da una parte e tra Scaroni, amministratore delegato del gruppo petrolifero italiano (carica alla quale era stato nominato nel 2005 dal governo di Silvio Berlusconi) e il presidente e amministratore delegato di Gazprom Aleksej Miller dall’altra. Così cinque mesi dopo Scaroni e Miller siglarono a Mosca quello che venne definito “un ampio accordo strategico tra le due società”. L’accordo prevedeva la creazione di un’alleanza internazionale che avrebbe permesso a Eni e Gazprom di realizzare progetti comuni nel midstream e nel downstream del gas, nell’upstream e nella cooperazione tecnologica. Per effetto dell’intesa – e questo è il punto decisivo – Gazprom estese la durata dei contratti di fornitura di gas fino al 2035 a Eni, che in questo modo si confermava il primo cliente mondiale del colosso russo. Nell’ambito di questo nuovo schema contrattuale, Gazprom avrebbe venduto a partire dal 2007 direttamente sul mercato italiano quantitativi crescenti di gas fino a un potenziale di circa 3 miliardi di mc dal 2010 e per tutta la durata del contratto. Per Scaroni, parole sue di allora, si trattò di un “accordo storico”: ma nelle interviste di oggi non ne ha memoria e memoria non ne hanno coloro che oggi lo intervistano.