Il disastro è un Fatto.
Ieri sera Società Italiana Editrice Il Fatto (SEIF), che pubblica l’omonimo quotidiano, ha diffuso i dati relativi al bilancio 2019, non esaltante: pur a fronte di ricavi stabili a circa 32 milioni, l’ebitda è sceso del 62% sul 2018 1,2 milioni e alla fine s’è verificata una perdita di 1,5 milioni rispetto al miniutile di 400mila giuri dell’esercizio precedente. Numeri a parte, tuttavia, hanno fatto bene gli investitori a puntare un anno fa sulle azioni della SEIF? Si può ben dire che più che un affare, per loro è stato un vero bagno di sangue.
Andiamo con ordine. Il 15 marzo del 2019 è un ingresso in Borsa “col botto” per la SEIF, che ha debuttato sul mercato AIM con un prezzo di partenza di 0,81 euro, in rialzo del 13,86% sulla base del prezzo dell’ipo fissato a 0,72 euro per azione. A fine giornata, il volume scambiato è stato di 1.358.000 azioni per un valore di 1,03 milioni di euro, con una performance aggregata tra azioni e warrant del +7,3%, ma il titolo ha chiuso con un calo dello 0,69% a 0,71 euro. Per l’amministratore delegato Cinzia Monteverdi «la quotazione – disse in quell’occasione – rappresenta un elemento di forza incredibile per una società indipendente come la nostra: per noi significa essere ancora più responsabili e trasparenti nei confronti dei nostri clienti, della nostra community e dei nostri azionisti. Da oggi proseguiremo con ancor più determinazione nel percorso di crescita che abbiamo intrapreso perché una casa editrice oggi per crescere è obbligata a trasformarsi e a diversificare come sta facendo SEIF».
In quel giorno SEIF capitalizza 18 milioni di euro dopo il successo dell’Ipo durante la quale sono state collocate 4.052.000 azioni (16,2% del capitale) a un prezzo, come detto, di 72 centesimi ciascuna. Ad affiancare la società in queste fasi delicate ci sono state: Advance SIM (Nomad e Joint Global Coordinator), Fidentiis (Joint Global Coordinator) e Emintad Italy (financial advisor). Directa SIM ha agito come intermediario finanziario per la ricezione degli ordini retail, mentre Nctm ha ricoperto il ruolo di legal advisor, Kpmg quello di società di revisione e Studio Gnudi quello di advisor fiscale.
Il 22 marzo dello scorso anno l’azione balza a 0,80 euro, il massimo storico, perché da allora non farà che arretrare. Sei mesi dopo l’ipo, infatti, il 13 settembre l’azione è già scesa a 0,68 euro e quel giorno non si registra nessuno scambio. Il 30 dicembre del 2019, il titolo è slittato ancora più giù (quindi ben prima dell’effetto coronavirus sul listino) a 0,586 euro con sole 20mila azioni trattate. E veniamo al 16 marzo scorso quando SEIF in borsa è stata prezzata a 0,407 euro con appena 2mila titoli scambiati e una capitalizzazione scesa a 11,7 milioni. Insomma, dall’offerta in borsa il titolo ha perso il 43%. E non vanno meglio le cose a Parigi visto che SEIF adottando il dual listing s’è quotata anche all’Euronext il 17 luglio scorso a 0,71 euro, ma il 31 marzo scorso prezzava 0,46 euro con un perdita di oltre il 35% dalla quotazione.
Insomma, che per l’investitore sia un disastro…è un fatto.